Musica
La Buona Novella di De Andrè riletta in siciliano: da Genova a Palermo, cinque "madri" vestono i panni di Maria
Il documentario del regista Andrea Walts racconta la nascita del progetto del cantautore Francesco Giunta
Mistica? Ha detto mistica e non mizzica. Ho capito bene?
Ride Andrea Walts, regista di “Matri pi sempre”. Lui, originario di Finale Ligure che, caso strano, grazie a Fabrizio De Andrè, ha imparato non tanto a parlare, ma perlomeno a capire, il dialetto siciliano.
E quando gli chiedi di usare un aggettivo per definire il suo concetto di Sicilia, ti risponde “mistica”.
Ma riavvolgiamo il nastro. Lo start è quello del 2021, quando il cantautore Francesco Giunta decide di realizzare una trasposizione in dialetto siciliano della “Buona novella” di Fabrizio De Andrè che verrà proposta al Teatro Antico di Segesta il 27 agosto 2023, e pubblicata su vinile grazie a Edoardo De Angelis e Giuseppe Greco.
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Cinque donne intorno al cor, e via al progetto di Andrea Walts, che si ritrova catapultato nei sentimenti siculi, materni, di Giulia Mei, Alessandra Ristuccia, Laura Mollica, Cecilia Pitino e Valeria Graziani.
«L’urgenza di intraprendere il viaggio in questa storia è dovuta un po’ al caso e un po’ al destino - racconta il regista - Arrivo alla Buona Novella in siciliano “in corso d’opera”, perché ho accompagnato il direttore musicale del concerto in prova a Palermo. Lui è il compositore delle colonne sonore dei miei film oltre ad essere un carissimo amico, e mi disse, che stava lavorando a questo progetto al cui centro c’era De Andrè, e ne ho approfittato visto che, fra l’altro, non avevo mai visto Palermo. Mi seggo in platea ad ascoltare le prove, vengo inondato dalle note della Buona Novella, dalla lingua siciliana, dai volti di queste donne, e mi ci sono voluti soltanto venti minuti per dire: tutto questo deve diventare un film. Molte volte, dopo questa frase, non se ne fa niente, invece stavolta si è concretizzato tutto. Ho scritto un soggetto da presentare alla Fondazione De Andrè, con queste cinque donne che raccontavano la vita di Maria. E mi sono detto: beh ma la Buona Novella non parla di Cristo ma della vita di Maria. Ho presentato il progetto a Dori Ghezzi, moglie di Fabrizio e presidente della Fondazione, e mi ha risposto che questa era proprio l’intenzione di Fabrizio. E da lì è iniziato tutto».
Le sensazioni della sua prima volta a Palermo?
«Quando sono arrivato ho avuto l’ impressione di conoscerla già. Dormivo vicino alla piazza dei Quattro Canti, quindi in pieno centro storico, e da lì, in pochi minuti, ero alla Vucciria e mi sentivo come se da piazza De Ferraris andassi a piazzetta delle Erbe, nei vicoli del porto antico della mia Genova. Architettonicamente si somigliano tantissimo e ho sempre sentito dire, e lo dico anch’io, che Genova sembra una città un po’ lugubre, che si affaccia sul mare, quindi molto umida, ma la trovo di una poesia pazzesca, e quei chiaroscuri li ho trovati anche a Palermo».
Mentre i genovesi, e qualche siciliano, “inventavano” la Boca, a Baires, da Palermo, Siracusa, Catania, si imbarcavano per concretizzare il sogno della Grande Mela...
«Metà della mia famiglia è emigrata negli Usa, e non dimentichiamo che la squadra di calcio del Boca Junior è stata fondata da alcuni genovesi, i cui tifosi, non a caso, si chiamano xeneizes che, nel nostro dialetto, significa proprio genovesi».
Torniamo goethianamente al suo viaggio in Sicilia. Prima volta?
«Diciamo la mia permanenza più lunga. Ero già stato ad Agrigento con un mio progetto, ma avevo visto l’aeroporto a Catania. Il paesaggio lungo il tragitto in auto e quel poco di Agrigento meravigliosa e basta. Questo secondo è stato “il viaggio” che me l’ha fatta scoprire davvero».
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E che le ha fatto scoprire un nuovo dialetto.
«E’ vero, e a volte dico ai miei amici siciliani che se parlano piano li capisco. Ormai sono entrato nell’idioma locale. Non posso dire di parlarlo ma di capirlo sì».
E poi ha trovato queste “donne fragili, imperfette ma vere”…
«Sì, mi sono ispirato all’immagine della ricerca di Maria cantata da Fabrizio, di una donna, la madre per eccellenza, senza soffermarsi sulla santità, sull’istituzione ecclesiastica, sull’iconografia che Maria rappresenta per tutti i fedeli del mondo cattolico. Cercavo una donna che ho ritrovato negli occhi di tutte le donne che ho incontrato. Ognuna di queste donne ha delle analogie straordinarie con la vita della Maria cantata da Fabrizio. E quindi, incontrarle, è stato come incontrare “Lei”, la vera Maria, una sorta di apparizione mistica-laica».
Maria, in Sicilia, è il simbolo per eccellenza della donna e, dunque, della madre, un po’ alla Johnny Stecchino e quel “me matri” sospirato che ti dice tutto del valore materiale e simbolico della mamma, dell’essere, del tutto.
«Una Maria del popolo, una Maria vera, una madre. Mi è stata descritta questa famiglia tipica siciliana, matriarcale, con la donna che tiene le redini della famiglia in mano, dove si respira molto la figura femminile della madre nelle case siciliane».
Con questo lavoro, a chi si rivolge?
«La mia prima missione era raccontare Fabrizio a chi ancora non conosce Fabrizio. Mi rendo conto che può essere assurdo, e invece no, mi rivolgo alle nuove generazioni, anche se Fabrizio, tra i cantautori del passato, è quello sempre più in voga, attuale rispetto a tanti altri artisti. Se devo prediligere un pubblico, è quello dei giovani e non dei nostalgici di De Andrè. E poi, per chi De Andrè lo conosce già, è un’occasione per vederlo sotto un altro aspetto, l’aspetto del dialetto siciliano, del riadattamento, della parafrasi di ciò che lui voleva raccontare».
Faber come ponte di culture, di lingue, di tradizioni... Insomma, De Andrè prima di Salvini...
Ride Andrea Walts. «Assolutamente sì. I ponti culturali sono quelli che non cascano mai».
E del Ponte sullo Stretto, a questo punto la domanda è d’obbligo, cosa ne pensa?
«Non sono in grado di rispondere sull’aspetto tecnico, ma credo che la nostra società abbia da risolvere tanti altri problemi prima di pensare di evolversi architettonicamente. Necessita di un percorso sociale che ha ancora bisogno di essere sostenuto».
Tornerà in Sicilia o è un capitolo chiuso?
«Ormai ho cinque madri in Sicilia che ogni tanto mi reclamano. Al di là dell’affetto e delle amicizie, tutta l’arte che ho avuto modo di respirare in Sicilia non sono riuscito ad esprimerla in un solo film, quindi sento il bisogno di dare ancora qualcosa».
Per dirla con l’amico comune Edoardo De Angelis, il “Sale di Sicilia”, alla fine, ti resta appiccicato addosso…
«Direi proprio di sì. Anche se artisticamente parlando, adesso torno a casa, al focolare materno, dove ci sono le mie radici. La Sicilia mi ha stimolato questo desiderio di ritorno alle origini».