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L'influencer siciliana Clizia Incorvaia a processo: nel mirino le foto della figlia, il caso che cambia le regole dello “sharenting” in Italia

Il 17 dicembre a Roma si apre il procedimento nato dalla denuncia di Francesco Sarcina: al centro l’uso delle immagini della figlia Nina in post e campagne social. Tra giurisprudenza, privacy e business dei brand, perché questa vicenda riguarda (anche) tutti i genitori online

Alfredo Zermo

02 Dicembre 2025, 19:55

L'influencer siciliana Clizia Incorvaia a processo: nel mirino le foto della figlia, il caso che cambia le regole dello “sharenting” in Italia

Una chat su uno schermo, una frase secca che taglia l’aria della stanza: “Io li campo grazie ai brand di moda e pago la scuola, vestiti, etc”. È il messaggio che l’accusa ritiene decisivo per dimostrare la consapevolezza di Clizia Incorvaia nell’utilizzo commerciale delle immagini della figlia. Tra poco, quella riga di testo verrà riletta in un’aula, davanti a un giudice. Perché da mercoledì 17 dicembre 2025 a Roma si apre un processo che non è solo un caso di costume: è uno spartiacque sul confine — sempre più labile — tra affetti, social media e business. A volerlo è l’ex marito, Francesco Sarcina, frontman de Le Vibrazioni, che da tempo contesta l’uso delle foto della bambina senza il suo consenso. Secondo gli atti, gli scatti sarebbero comparsi in almeno cinque contesti commerciali. E ora la parola passa ai giudici.

Che cosa succede il 17 dicembre

L’udienza è fissata a Roma e riguarda l’imputazione di “trattamento illecito di dati personali”: l’ipotesi è che l’influencer abbia diffuso online foto e video della figlia minorenne, Nina, senza il consenso dell’altro genitore e “al fine di trarne profitto per sé o per terzi”. È un reato previsto dal Codice Privacy e richiamato sempre più spesso dai tribunali quando le immagini dei minori finiscono nella “piazza” dei social. La data, 17 dicembre, è stata confermata in più sedi e accende i riflettori su un procedimento che ha già alimentato dibattito pubblico e giurisprudenza.

Il cuore dell’accusa: cinque campagne e un messaggio

Secondo la Procura di Roma, il materiale con la minore sarebbe stato utilizzato in almeno cinque contesti pubblicitari, tra cui marchi di abbigliamento e calzature per bambini. In atti comparirebbe anche il già citato messaggio attribuito a Clizia Incorvaia, che, per l’accusa, mostrerebbe la consapevolezza dell’uso economico dell’immagine della figlia. La pm indicata dalle ricostruzioni stampa è Alessia Miele. Sarà naturalmente il processo a stabilire se le condotte contestate integrino gli estremi del reato e se vi sia stata violazione degli accordi sottoscritti in sede di separazione.

Le due versioni a confronto

  • La posizione di Francesco Sarcina: il cantante sostiene di non aver mai dato il proprio assenso alla pubblicazione commerciale delle immagini della figlia e di aver chiesto più volte alla ex di interrompere l’esposizione social, anche per ragioni di sicurezza e benessere psicofisico della minore. Il suo legale, avv. Maria Paola Marro, ha ribadito che “la legge prevede il consenso dei genitori per pubblicare le immagini” dei minori.
  • La posizione di Clizia Incorvaia: l’influencer respinge l’idea di un “sfruttamento” e sostiene di aver condiviso “momenti di quotidianità” rispettosi. In tv ha spiegato di aver modificato le abitudini social, pubblicando la figlia “di spalle”, e di ritenere che, specie all’inizio della carriera, ci fosse stato un clima di consenso familiare attorno alle prime campagne. Parole che verranno inevitabilmente rilette nel dibattito processuale.

Un caso-simbolo oltre il gossip

“Sharenting”, consenso e regole: cosa dice la legge

In Italia il diritto all’immagine e alla riservatezza dei minori è tutelato da più norme: tra le altre, l’art. 10 c.c., gli artt. 96-97 della legge sul diritto d’autore, il Codice della privacy (d.lgs. 196/2003, come novellato) e il GDPR. Sul piano pratico, il Garante per la protezione dei dati personali ha ribadito che per pubblicare sui social le foto di un minore di 14 anni serve il consenso di entrambi i genitori. Se manca l’assenso di uno dei due, la pubblicazione è da considerarsi illecita e può scattare un provvedimento inibitorio o sanzioni. Questo principio vale anche in caso di affidamento condiviso.

Negli ultimi mesi, la giurisprudenza ha alzato ulteriormente l’asticella. Il Tribunale civile di Milano ha affermato che i genitori sono “custodi” delle immagini dei figli: ciò implica una responsabilità anche penale quando la condivisione sfocia in condotte riconducibili al “trattamento illecito di dati personali” o nella violazione di provvedimenti dell’autorità (si richiama l’art. 650 c.p.), sottolineando come i rischi dello sharenting (la pratica — spesso inconsapevole — di condividere la vita dei figli online) non si esauriscano nel danno di reputazione ma toccano la sicurezza dei minori. Una cornice che rende questo processo particolarmente osservato.

Perché il caso Incorvaia–Sarcina fa scuola

La particolarità del fascicolo romano sta nell’intreccio di tre elementi:

  • la dimensione commerciale dell’uso delle immagini (post, tag e campagne con brand),
  • la presunta violazione di patti assunti al momento della separazione,
  • la presenza di un messaggio che, secondo l’accusa, indicherebbe una strategia consapevole di monetizzazione.

In più, il profilo pubblico dei protagonisti moltiplica la diffusione degli scatti: l’account di Clizia Incorvaia risulta seguito da oltre 860.000 follower, numeri che amplificano l’esposizione di ogni contenuto. Per gli inquirenti, è un moltiplicatore di rischio.

Il nodo del consenso

In diritto, la domanda è semplice: esisteva un consenso esplicito di entrambi i genitori per quelle pubblicazioni? La risposta, spesso, è complessa. Per il Garante il consenso dev’essere chiaro e verificabile; la prassi mostra che vecchi “ok” informali possono non bastare quando le foto finiscono in post sponsorizzati o quando, nel tempo, uno dei genitori revoca l’assenso. Nelle cause familiari, inoltre, gli accordi di separazione possono prevedere clausole specifiche sulla privacy dei figli: una violazione di quegli impegni pesa in sede penale e civile.

La cornice culturale

Quello in esame è un caso-limite di “sharenting”. Per un’influencer, il confine tra “racconto di sé” e “contenuto commerciale” può essere sottile: bastano un tag a un marchio, un codice sconto, un product placement domestico. È qui che i giudici stanno spostando l’asticella: contano non solo le immagini, ma il contesto economico in cui circolano e la platea raggiunta. La decisione del Tribunale di Milano sui genitori “custodi” delle immagini è un segnale forte: l’era del “pubblico tutto” è finita, soprattutto quando si parla di minori.

Le ricadute per influencer, genitori e brand

  • Per chi crea contenuti: l’uso dell’immagine dei figli senza un consenso bilaterale non è più solo un tema etico; diventa un rischio legale concreto. Contratti, brief e linee guida con i brand dovranno prevedere clausole esplicite sui minori, con liberatorie firmate da entrambi i genitori.
  • Per i brand: la due diligence sull’aderenza legale dei contenuti diventa cruciale. L’assenza del consenso può esporre anche le aziende a contestazioni accessorie (illecita diffusione, concorso).
  • Per le famiglie separate: serve scrivere nero su bianco cosa è lecito pubblicare. Se uno dei due genitori revoca il consenso, la pubblicazione deve cessare. In caso di conflitto, è opportuno rivolgersi al giudice tutelare o seguire i provvedimenti del Garante.

Cosa potrà accadere in aula

Nelle prime battute il collegio dovrà verificare la corretta notifica degli atti, l’ammissibilità delle prove e l’eventuale richiesta di riti alternativi. Gli scenari possibili vanno dal rinvio per approfondimenti istruttori, alla richiesta di abbreviato o messa alla prova, fino a un calendario di escussioni e acquisizioni documentali (post, contratti, screenshot del famigerato messaggio). Sono passaggi tecnici che diranno molto più dei commenti a caldo. Su un punto, però, c’è già certezza: l’esito farà giurisprudenza per chiunque — personaggio pubblico o genitore qualunque — pubblichi online foto dei figli. La linea del Garante e le pronunce recenti indicano un orientamento netto, ma ogni processo fa storia a sé.

Il contesto umano: quando la notorietà amplifica tutto

Dietro le carte, ci sono persone. Clizia Incorvaia, oggi compagna di Paolo Ciavarro, ha raccontato in tv di aver ridotto l’esposizione della figlia e di mostrarla “solo di spalle”, rivendicando il diritto di non “estromettere” del tutto i figli dal racconto della propria vita pubblica. Dall’altra parte, Francesco Sarcina insiste sulla priorità assoluta della tutela della minore, temendo le conseguenze di una circolazione incontrollata in un ecosistema dove screenshot, repost e marketplace di contenuti sponsorizzati moltiplicano le visualizzazioni. Il loro è un dibattito che abita molte famiglie, non solo quelle famose.

Una guida rapida (e utile) per non sbagliare con le foto dei figli online

  • Chiedi sempre il consenso dell’altro genitore se il minore ha meno di 14 anni: è la regola ribadita dal Garante. Scrivilo, conservalo, aggiornalo se cambiano le condizioni.
  • Evita tag e riferimenti commerciali: se il contenuto è sponsorizzato o promozionale, la soglia di rischio sale.
  • Riduci la riconoscibilità: inquadra di spalle, offusca il volto, non mostrare luoghi frequentati o routine individuabili.
  • Pensa al “diritto all’oblio” dei tuoi figli: un post può restare online per anni e riaffiorare fuori contesto.
  • In caso di dissenso, fermati e chiedi un parere: il Garante e i tribunali sono sempre più severi su chi ignora richieste di rimozione.

Conclusione: la misura del “sì” e del “no” nell’era dei like

Il processo di Roma del 17 dicembre 2025 non è una guerra tra ex, è la domanda che tutti — genitori, influencer, aziende — devono farsi: dove finisce la narrazione della famiglia e inizia lo sfruttamento dell’immagine dei figli? Il tribunale darà una risposta giuridica. Il resto — sensibilità, prudenza, responsabilità — resta in capo agli adulti.