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IL PERSONAGGIO

“Mi ha fatto credere che sarei stata sua moglie”: Genny Urtis a Belve, la transizione raccontata senza rete e le ombre di una storia finita male

In prima serata su Rai 2, la chirurga dei vip mette in fila dolori, scelte e nuove consapevolezze: dall’uso del femminile ai prossimi ritocchi, fino al caso Leotta e a una relazione che lei definisce “una fregatura”

Redazione La Sicilia

19 Novembre 2025, 11:03

“Mi ha fatto credere che sarei stata sua moglie”: Genny Urtis a Belve, la transizione raccontata senza rete e le ombre di una storia finita male

La luce taglia lo studio in due. Davanti alle domande affilate di Francesca Fagnani, Genny Urtis non cerca ripari: «Il seno non lo volevo, poi l’ho fatto per lui». Nessuna suspense costruita a tavolino, nessun giro di parole. È la confessione più spiazzante della sua nuova apparizione a Belve di Rai 2 la sera di martedì 18 novembre 2025, una puntata che restituisce il peso di un percorso identitario e affettivo vissuto sotto la pressione di un compagno che lei definisce «manipolatore e truffatore» e che l’avrebbe spinta a decisioni che non sentiva davvero sue. La tv generalista, spesso cauto terreno di mezze frasi, qui diventa campo aperto: un racconto nudo, con il linguaggio al femminile che Genny esige per sé e che ribadisce con fermezza.

Un ritorno nello studio di Belve che pesa come un debutto

A due anni dalla prima intervista, allora ancora come “Giacomo”, Genny rientra nel salotto feroce di Fagnani per ricomporre i tasselli della propria transizione di genere, oggi segnata da un passaggio pubblico decisivo: la mastoplastica additiva eseguita nella primavera 2025, che lei stessa ha raccontato e fotografato sui social. «Dentro mi sento sempre me stessa», diceva a maggio, precisando anche di non essere ancora pronta a completare altri passaggi del percorso. In studio, a novembre, la cornice si fa più netta: il seno è stata una scelta condizionata da quella relazione, ma il processo di autoaffermazione continua e porta con sé nuove certezze — a partire dal pronome.

“Sono ancora in cura”: quando l’amore diventa ferita

La dichiarazione che rimbalza sui titoli è scolpita: «Ho avuto un fidanzato manipolatore e truffatore. Sono ancora in cura. Gli psicofarmaci mi aiutano a dimenticare». Genny non ne fa un caso giudiziario in tv, ma un pezzo della sua autobiografia sentimentale. Parla di promesse di famiglia — «Avevamo anche scelto le madri dei nostri figli» — e di un sogno domestico che si sarebbe rivelato una trappola. Il quadro che emerge è quello di un rapporto sbilanciato, dove l’influenza emotiva dell’altro ha pesato perfino sulle scelte più intime del corpo. Un frammento di vita che pone al centro non il “colpo di scena”, ma la vulnerabilità di chi attraversa una transizione mentre cerca un amore stabile.

Il lessico di sé: perché l’uso del femminile conta

C’è un gesto politico, prima ancora che televisivo, nel modo in cui Genny chiede — e ottiene — di essere raccontata al femminile: “chirurga”, “lei”, “una moglie”. Non è mera forma: nelle storie di persone trans, il pronome è la prima difesa dall’invisibilità. Qui diventa anche una lente per rileggere il passato: quel «non lo volevo» a proposito del seno non rinnega l’identità, ma denuncia la dinamica di un controllo emotivo. È la differenza tra autoaffermazione e eterodirezione: un discrimine che rende la sua testimonianza rilevante oltre il perimetro dello spettacolo. Nelle ore del programma, perfino il siparietto su Pasolini — goffo, virale, quasi un inciampo — finisce per confermare che l’autonarrazione di Genny è prima di tutto un fatto di linguaggio e di scelte consapevoli.

Ritocchi e prossimi passi: lifting, femminilizzazione, e quel “bisturi che non dorme mai”

Genny non ha mai nascosto il suo rapporto diretto con la chirurgia estetica: “alleata” nella vita e nel lavoro. Negli ultimi mesi ha spiegato, anche nella sua rubrica social “Bisturi Fatale”, di aver ritoccato quasi tutto del viso — dal lifting al naso, dagli occhi alla mandibola — e di non escludere ulteriori interventi di femminilizzazione. «Il bisturi non dorme mai», dice con ironia, confermando una visione della chirurgia come strumento identitario oltre che estetico. Nel quadro di Belve, la linea è la stessa: oggi il seno c’è, altre scelte matureranno «quando e se» sarà pronta. È un modo sobrio di ridefinire il tempo della transizione: non un elenco di tappe obbligate, ma un percorso personale, a fasi, dove la priorità è l’equilibrio psicologico.

Il caso Leotta: una frizione antica, un nome che torna

A movimentare la puntata c’è anche un nodo mai del tutto sciolto con Diletta Leotta. Genny ricostruisce un vecchio litigio legato al fratello della conduttrice, che avrebbe lavorato per lei «senza comportarsi benissimo». Nessun processo sommario, ma un episodio che riemerge e che Genny usa per descrivere un contesto professionale dove relazioni e fiducia sono merce delicata. La breve clip pubblicata su RaiPlay mostra la dinamica con chiarezza: è un flash, ma sufficiente a spiegare perché il nome Leotta torni nelle sue narrazioni pubbliche.

La “fregatura” sentimentale: tra vita privata, lavoro e (presunte) truffe

La parte più dolorosa del racconto riguarda l’ex compagno — che Genny in passato ha descritto come un imprenditore, e che alcune cronache di costume hanno indicato come calabrese — e l’onda lunga che la relazione avrebbe avuto sulla sua vita professionale e sui conti. In tv lei parla di «manipolatore e truffatore», di terapia e psicofarmaci, e allude a traumi che non si cancellano in fretta. In altri interventi pubblici e sui social — riportati dalla stampa di settore — ha raccontato di tensioni economiche, spese imposte e difficoltà lavorative seguite alla rottura. Alcune ricostruzioni online parlano perfino di effetti su attività ambulatoriali e di dispute relative al brand. Su questi ultimi aspetti, va detto, non esistono al momento conferme autonome o documentazioni pubbliche verificabili: restano il punto di vista di Genny e le sintesi (spesso colorite) di testate di gossip. Di certo, a Belve, la scelta è stata di non fare nomi e di collocare la storia nella dimensione intima del danno psicologico. È una prudenza che vale la pena sottolineare, anche per rispetto delle regole deontologiche.

Il contesto televisivo: quando il prime time accetta la complessità

Belve resta una macchina narrativa riconoscibile: domande dirette, ritmo secco, costruzione per frammenti. Ma in questa stagione — la sesta, prodotto Fremantle, in onda il martedì alle 21.25 su Rai 2 — la trasmissione sembra aver consolidato una grammatica capace di alternare rivelazioni private e spunti di costume senza perdere lucidità. La puntata con Genny Urtis — dove compaiono anche nomi pop come Cristiano Malgioglio, Eva Herzigová e BigMama — restituisce un pezzo d’Italia che sta imparando, lentamente, a nominare le identità senza forzarle in stereotipi. E il fatto che una professionista che chiede il femminile per sé, con una storia mediatica ingombrante, venga ascoltata in prima serata senza indulgenze ma senza scherno, è già una notizia.

Tra movida, sport e leggerezza: i dettagli che fanno rumore

C’è la Gintoneria e la sua confessione iperfranca («Ho fatto sesso in un bagno»), c’è un ex calciatore rimasto senza nome, c’è perfino lo scivolone culturale su Pasolini: materiale perfetto per i social, certo, ma anche segnali di un personaggio che non teme di sporcarsi con il racconto del proprio quotidiano. In mezzo, una frecciata a Francesca Cipriani — «Ha il braccino corto» — che riapre l’interminabile discussione sui confini tra amicizia, lavoro e visibilità nel sistema mediatico. Se la tv vive di micro-gesti che generano conversazione, questa sequenza li centellina con astuzia.

Dalla chirurgia alla cura di sé: il senso di un percorso graduale

Una parte consistente dell’attenzione su Genny, negli ultimi mesi, si è concentrata sull’operazione al seno e sulla domanda — impropria — «e adesso?». La risposta che offre a Belve è il contrario di un calendario: nessuna tabella di marcia sul cosiddetto “cambio di sesso”, ma la rivendicazione del diritto a decidere tempi e quando. Intanto, sul fronte estetico, Genny ragiona di femminilizzazione del volto e lifting come strumenti tecnici al servizio di una coerenza interiore: si può scegliere un intervento (o rinviarlo) senza che questo definisca in modo esclusivo l’identità. È una distinzione preziosa, utile anche per i lettori: la transizione non è un’asta di procedure, ma un processo personale, spesso non lineare.

Il nodo comunicazione: tra Rai, web e rimbalzi social

La macchina dell’informazione fa il resto. Dalle anticipazioni di agenzie e quotidiani alla clip su RaiPlay col passaggio sul “caso Leotta”, fino agli articoli che riprendono — talvolta con toni iperbolici — il racconto del «fidanzato manipolatore». In questo rimbalzo, i punti fermi sono pochi e vanno presi sul serio: l’uso del femminile, l’ammissione di un rapporto tossico, la gestione clinica delle conseguenze emotive, e l’idea di interventi futuri come opzioni, non come obblighi. Il resto — i retroscena, i riferimenti geografici, le sfumature biografiche — scivola spesso verso il rumor. È il momento, per chi racconta, di tenere i piedi piantati nella verifica e nell’attribuzione corretta delle frasi.

Cosa resta, dopo i riflettori

Resta il ritratto di una donna che chiede di essere chiamata per come è, senza patenti e senza paternalismi. Resta l’immagine di una professionista — la chirurga estetica che ha messo mano anche al proprio volto — che riconosce i limiti e le ferite e li consegna a un pubblico vasto. Resta, soprattutto, una frase che vale più di mille commenti: «Mi ha portato a fare cose che non avrei mai fatto». È il confine che separa il consenso dal compiacimento, l’autodeterminazione dalla dipendenza emotiva. E in quel confine, finalmente, Genny ha ricominciato a stare dalla parte giusta: la sua.