×

atletica

Nel cuore del Sahara: i cento chilometri di silenzio di Carmelo La Delfa

Il racconto del 53enne atleta catanese che già nel 2018 aveva già firmato un’impresa epica: 650 chilometri in mountain bike attraverso le sabbie tunisine

Nunzio Casabianca

04 Novembre 2025, 20:32

Carmelo La Delfa nel desterto del Sahara

Il deserto non perdona. Ti accoglie con un silenzio antico, poi ti mette alla prova con il caldo che piega la volontà e la sabbia che inghiotte i passi. Là dove il sole brucia anche i pensieri, si corre una delle sfide più dure al mondo: la 100 km del Sahara, un viaggio di quattro giorni e cinque tappe in uno degli ambienti più ostili del pianeta. Per Carmelo La Delfa, 53 anni, atleta catanese e mental coach, questa non è stata solo una gara. È stata un ritorno alle origini della fatica, un confronto nudo e diretto con se stesso.

Il deserto nel destino

L’avventura prende forma tra le dune di Tembaine, nel sud della Tunisia. Una falesia maestosa si alza nel nulla, custode di un mare di sabbia che cambia forma a ogni folata di vento. È qui che da ventitré anni, grazie all’organizzazione della Zito Way di Adriano Zito, decine di atleti provenienti da ogni parte del mondo si misurano con il limite umano. Per La Delfa, il deserto non è un territorio sconosciuto. Già nel 2018, in sella a una mountain bike, aveva attraversato 650 chilometri di sabbia e vento, un’impresa che ancora oggi racconta con un misto di orgoglio e rispetto. «Tornare nel Sahara era come tornare in un luogo sacro», spiega. «Ogni granello di sabbia ti ricorda che qui nulla è scontato. Né la fatica, né la vittoria, né te stesso».

Oggi Carmelo è un mental coach e mentor sportivo, ma resta prima di tutto un uomo abituato a mettersi in gioco. E questa volta lo ha fatto portando con sé un bagaglio più pesante di qualsiasi zaino: il ricordo del fratello Giuseppe, scomparso un anno e mezzo fa, per quasi venticinque anni anima e general manager dell’Orizzonte Catania, la squadra di pallanuoto femminile più titolata d’Europa. «Ogni passo l’ho dedicato a lui. Abbiamo condiviso lo stesso amore per lo sport, lo stesso modo di affrontare la vita: con tenacia, con rispetto, con cuore».

Cinque tappe verso l’ignoto

Il percorso della 100 km del Sahara è un labirinto tracciato tra dune, sabbia soffice e tratti di roccia che spezzano il ritmo e le gambe. Cento chilometri da coprire in quattro giorni, un mosaico di fatica e concentrazione. «La prima tappa (21 chilometri) si corre al tramonto», racconta. «Il sole cala, ma la sabbia resta calda come brace. Ogni passo sprofonda, ogni respiro è una battaglia. Il giorno dopo, alle otto del mattino, si riparte: 30 chilometri di luce accecante, con la temperatura che sale rapidamente sopra i 40 gradi. Il terzo giorno è il più duro: 24 chilometri la mattina, poi una tappa notturna di 10 chilometri con la frontale, seguendo i catarifrangenti che brillano nel buio come stelle. L’ultima giornata è un conto alla rovescia: 15 chilometri finali verso la linea d’arrivo».

Allenato dal dottor Pietro Leonardi di PhysioRehab, La Delfa ha seguito un programma di preparazione durissimo, con doppie sedute giornaliere e simulazioni di sforzo prolungato. Eppure, ammette, nessun allenamento può davvero prepararti al Sahara. «Il terreno è traditore», dice. «L’80% è sabbia soffice, instabile, mentre il resto è deserto roccioso. Le pietre spaccano i muscoli e mettono a rischio le caviglie. Ogni giorno devi imparare a correre di nuovo».

Il corpo cede, la mente resiste

Già dalla prima tappa, la sofferenza si è fatta sentire: dolori muscolari, una caviglia gonfia, un ginocchio che scricchiolava. Ma la resa non è mai entrata nei pensieri di Carmelo. «Dopo metà gara ho smesso di guardare quanto mancava. Ho deciso di concentrarmi su ogni passo, su ogni respiro. Il deserto ti insegna questo: vivere il presente. Perché se pensi a quanto è lontano il traguardo, ti perdi».

Nel Sahara, spiega, si corre in compagnia del silenzio. Nessun pubblico, nessun applauso. Solo il suono del vento e il ritmo del proprio cuore. «È lì che capisci che non stai correndo contro gli altri. Stai correndo contro la voce dentro di te che ti dice di fermarti. E ogni volta che la zittisci, diventi un po’ più forte».

A metà percorso arriva l’illuminazione: «La vera sfida non è fisica. È mentale. La forza non nasce dai muscoli, ma dai pensieri. Bisogna restare nel presente, un passo alla volta. Quando impari a farlo, il deserto smette di essere un nemico e diventa un maestro».

La linea d’arrivo e il silenzio

L’ultimo giorno, quando finalmente la falesia di Tembaine si staglia all’orizzonte, il traguardo non è solo una linea sulla sabbia: è una liberazione. Carmelo La Delfa taglia il nastro dopo quattro giorni di corsa e introspezione, con il corpo provato ma la mente lucida. Nessuna esultanza, solo un profondo senso di gratitudine.

«Alla fine non vinci con le gambe, ma con la mente», dice piano, quasi come parlando a se stesso. «Il Sahara non è solo un luogo. È una lezione di vita. Ci sono deserti che tutti dobbiamo attraversare, alcuni reali, altri invisibili. Ma se impari ad ascoltarti, a credere in quel passo in più, puoi arrivare ovunque».

Un viaggio dentro e fuori di sé

Nei giorni successivi, Carmelo ha ripensato spesso a quei cento chilometri di sabbia e silenzio. Li ha visti e rivisti uno per uno come fotogrammi: il rosso del tramonto sulla prima tappa, il blu profondo del cielo notturno durante la corsa con la frontale, il vento che spazza via le orme come a dire che ogni impresa, nel deserto, è effimera.

«Durante la gara ho parlato spesso con me stesso», confida. «Ho rivisto gli ultimi due anni della mia vita, le perdite, le rinascite, le scelte. Ogni passo è stato un dialogo interiore. Alla fine ho capito che non si corre per arrivare, ma per scoprire chi sei quando non puoi più mentire a te stesso».

Nel deserto, la solitudine diventa una forma di verità. E quando l’ultimo granello di sabbia scivola sotto le scarpe, resta solo la consapevolezza di aver attraversato qualcosa di più grande della fatica: se stessi.