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Il caso

L'aumento di stipendio di Brunetta scatena l'ira di Meloni. E lui risponde: «Revoco subito»

«Non condivisibile», secondo la premier, anche anche sentenza Consulta che ha aperto al passaggio a 311mila euro di "compenso". Poi la nota dal Cnel in cui l'ex ministro annuncia il passo indietro

07 Novembre 2025, 20:49

21:33

Renato Brunetta

Giorgia Meloni e Renato Brunetta alla manifestazione "Italia Sovrana" a Roma, 28 gennaio 2017

Una scelta «non condivisibile». Giorgia Meloni è su tutte le furie per la decisione del Cnel, dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato illegittimo il tetto a 240mila euro degli stipendi della p.a, di innalzare i compensi dei propri vertici a partire da quello del presidente Renato Brunetta elevandolo a 311mila euro. In mattinata il Cnel spiega le ragioni dell’aumento, ma poi in serata arriva il dietrofront. 

Il passo indietro

«Provvederò a revocare con effetto immediato la decisione assunta in Ufficio di Presidenza», afferma direttamente Brunetta  in una nota del Cnel spiegando di non volere «in alcun modo che dall’applicazione legittima di una giusta sentenza della Corte Costituzionale derivino strumentalizzazioni in grado di danneggiare la credibilità dell’istituzione che presiedo e, di riflesso, condizionare negativamente il dibattito politico e l'azione del Governo».

Le reazioni

La vicenda, riportata in primis dal "Domani", ha dato modo all’opposizione di andare all’attacco. Non solo. Ha scatenato anche il 'fuoco amicò della Lega nonostante la difesa d’ufficio dell’istituto. Il tutto mentre la manovra è in Parlamento e ha appena ricevuto critiche da più parti sul fronte del sostegno ai redditi. E così dai piani alti di Palazzo Chigi trapela l'irritazione della premier con l’ex ministro ma anche con la sentenza della Corte. Una decisione, quest’ultima, ritenuta «non condivisibile» dal presidente del Consiglio, così come è «inopportuna» la scelta relativa all’adeguamento del compenso.

Irritazione sulla quale le opposizioni vanno, però, all’attacco, chiedendole di fare qualcosa di più a partire dalla manovra e dall’aumento dei salari. Il biasimo dei vertici del governo nei confronti dell’ex ministro arriva del resto dopo una giornata di polemica e di critiche dal centrosinistra. Nonostante l’istituto abbia in mattinata provato a difendersi specificando di aver ottemperato a una «doverosa applicazione" della sentenza della Consulta che «ha ripristinato a decorrere dal 1° agosto il tetto retributivo dei 311.658,53 euro». Di qui - si sottolinea in una nota del Cnel - la decisione che si applica, anche per le indennità, e oltretutto anche a tutti gli organi costituzionali.

Le opposizioni, intanto, sono sugli scudi. Matteo Renzi ironizza: «Meloni dice che non farà mai quello che ho fatto io? È vero: io volevo abolire il Cnel, lei invece lo ha riempito di soldi e ci ha messo alla guida il pensionato d’oro Renato Brunetta». E ancora Giuseppe Conte: «Niente salario minimo - attacca - ma sono aumentati gli stipendi dei vertici Cnel e di Brunetta». «Questo è uno schiaffo ai lavoratori», dice il Pd con Andrea Casu chiedendo alla premier di rispondere della vicenda. «Sono senza vergogna», accusa Nicola Fratoianni.

Nel centrodestra, intanto, Forza Italia si mostra fredda. «Abbiamo letto la nota del Cnel. Prendiamo atto», si limita a commentare sollecitato sul punto Raffaele Nevi, il portavoce nazionale del partito di Tajani. La Lega, invece, cavalca la vicenda. «Abbiamo letto la notizia» dei compensi dei vertici del Cnel e «siamo rimasti scandalizzati», ammette, del resto, un big salviniano. E dal partito si fa sapere che arriverà una interrogazione parlamentare in materia. «Gli aumenti in piena autonomia degli stipendi al Cnel - sottolinea Tiziana Nisini, componente della Lega in commissione Lavoro della Camera - a partire dal presidente Renato Brunetta, sono da riconsiderare. Presenteremo un’interrogazione parlamentare e una norma in finanziaria che vada nella direzione inversa». I leghisti starebbero dunque studiando la fattibilità di un emendamento in materia alla manovra che dovrebbe, però, in qualche misura superare tecnicamente la questione della sentenza della Corte.

L'illegittimità del "tetto" a 240mila euro

L’argomento, a onor del vero, è all’ordine del giorno del governo da tempo, da dopo la decisione di luglio dei giudici che hanno definito il tetto illegittimo in quanto posto in un momento di situazione emergenziale per i conti pubblici e con un provvedimento d’urgenza. Il ministro della p.a. Paolo Zangrillo a fine settembre scorso aveva fatto sapere che sulla questione erano in corso ragionamenti con il Mef proprio per trovare uno strumento legislativo dopo la decisione di luglio della Consulta: decisione che Palazzo Chigi non ha condiviso. Da capire, dunque, se magari proprio nella manovra potrà entrare una misura che chiuda la questione.