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Le gabbie salariali esistono: in busta paga ai meridionali vanno 4.300 euro in meno

La Sicilia al 17° posto: retribuzione media di 28.906 euro. A Palermo si guadagna di più, a Ragusa di meno. Enna e Siracusa stanno meglio di Catania

18 Settembre 2025, 19:37

30 Settembre 2025, 14:26

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È stato appena pubblicato il nuovo JP Geography Index 2025 sulle retribuzioni italiane, il report dell’Osservatorio di Job Pricing che ogni anno, partendo dalla ricca base di dati (600mila profili di lavoratori dipendenti), analizza l’andamento salariale nel mercato del lavoro. Il rapporto fotografa un Paese ancora spaccato: nel 2024 la Rga (retribuzione globale annua) è stata in media di 32.402 €, con un aumento del +3,1% rispetto all’anno prima. In dieci anni però, tra il 2015 e il 2024, i salari (+9,5%) hanno corso molto meno rispetto all’andamento dell’inflazione (+20,8%), erodendo così il potere d’acquisto delle famiglie.

Il ceto medio

La disaggregazione del dato medio per aree regionali evidenzia un divario nella Rga tra Nord (33.740 €), Centro (32.638 €) e Sud/Isole (29.424 €): in pratica il gap vale 4.300 € in meno in busta paga per i meridionali. Al vertice regionale per le retribuzioni ci sono Lombardia, Lazio, Liguria e Trentino-Alto Adige. In coda si trovano Basilicata, Calabria e Molise. Nella classifica provinciale guida Milano (38.544 €), poi Bolzano, Trieste, Roma e Genova; in fondo si trovano Ragusa, Crotone e Cosenza. Il Mezzogiorno resta senza province nel primo terzo della graduatoria. La prima è Cagliari al 39° posto. Per la Sicilia la Rga media è 28.906 € e l’Isola si posiziona al 17° posto fra le regioni italiane. A Palermo si guadagna di più, a Ragusa di meno. Enna e Siracusa stanno meglio di Catania. Le due più importanti città metropolitane, Catania (-16,1 punti) e Palermo (-16,2), figurano nella parte bassa della speciale graduatoria a 40 province. Qui il mix di inflazione elevata e modesta dinamica salariale ha pesato più che altrove.

Il rapporto Job Pricing

Il rapporto di Job Pricing conferma i risultati di altre indagini sulle dinamiche salariali. Anche per la Banca d’Italia, nel 2023 (l’ultimo anno preso in considerazione) le retribuzioni contrattuali sono salite del +2,2%, ma il livello del Centro-Nord resta circa il +30% più alto del Mezzogiorno. Nel primo semestre del 2023, gli aumenti salariali — anche per via dei rinnovi dei contratti nel comparto dei servizi — si sono intensificati fino al +4,3%, ampliando il differenziale nominale, ma quello reale è rimasto più stabile grazie a un’inflazione leggermente più bassa al Sud. Per l’Istat, nel 2024 c’è stata un’accelerazione delle retribuzioni contrattuali orarie (+3,7% a settembre, +4,6% nell’industria), in linea con l’idea di un recupero parziale post-inflazione, ma non sufficiente a chiudere il buco dei prezzi negli ultimi anni.

La stima Inps

Per l’Inps, la stima per il 2023 è di una retribuzione media annua di 23.662 €, più bassa della rilevazione di Job Pricing. Il valore rilevato è più modesto perché riferito ai soli dipendenti privati e alle giornate effettivamente retribuite. Anche il dato Inps conferma la debolezza strutturale delle retribuzioni, senza scalfire la gerarchia territoriale. La Cgia di Mestre pubblica una classifica provinciale alternativa (lordo mensile privati) che contraddice alcune posizioni del JP Index: la prima provincia del Sud è Chieti, in coda c’è Vibo Valentia. Le differenze derivano da metodologie e parametri diversi.

Le previsioni Ocse

Infine, a livello internazionale l’organizzazione intergovernativa Ocse prevede per il 2024–25 incrementi nominali moderati per il nostro Paese, rispettivamente +2,7% e +2,5% e un recupero solo parziale dei salari reali, coerente con il quadro di potere d’acquisto in affanno. Il Geography Index 2025 mette dunque in evidenza un’Italia a due velocità: da un lato una crescita retributiva che segna la fine della stagnazione, dall’altro la difficoltà a colmare divari territoriali profondi e a recuperare il potere d’acquisto delle famiglie eroso da un decennio di inflazione. Per le imprese e le istituzioni, la sfida è duplice: garantire stipendi in linea con le competenze richieste da un mercato del lavoro sempre più competitivo e allo stesso tempo preservare la sostenibilità economica dei redditi in un contesto di prezzi elevati.

*giornalista pubblicista, insegna Principi di Management all’Università di Catania