cultura
Gary Hill per la prima volta a Palermo: "Afterwards" e la ricerca artistica tra corpo e tecnologia
Lo scultore e pioniere della video arte ai cantieri culturali alla Zisa
Per Gary Hill è la prima volta a Palermo. Pioniere della videoarte e tra le figure più influenti dell’installazione interattiva internazionale, l’artista statunitense è in città, invitato dall’Accademia di Belle Arti per un incontro con studenti e pubblico. Hill ha costruito una ricerca che attraversa linguaggio, corpo, spazio e tecnologia, mettendo sempre lo spettatore al centro dell’esperienza.
Come è cambiato, dagli anni Settanta a oggi, il suo rapporto con la parola in relazione alle nuove tecnologie e ai media digitali?
Il linguaggio è sempre stato centrale nel mio lavoro perché definisce l’essere umano: è già di per sé una tecnologia che struttura il pensiero e la percezione. Fin dagli anni ’70, lavorando con il video, ho inteso i media elettronici come un’estensione del linguaggio, un modo per rendere visibile il pensiero e la materialità della parola attraverso suono e immagine. Con l’evoluzione delle tecnologie digitali, il linguaggio è rimasto per me uno spazio di libertà, capace di sottrarsi a significati fissi e di aprire nuove possibilità di esperienza. Nel mio lavoro, la parola vive in dialogo con l’immagine, lo spazio e la tecnologia, perché è in questa relazione che il significato prende forma.
Che ruolo ha oggi il corpo nell’esperienza delle sue installazioni e delle sue opere video?
Non è solo rappresentato, ma diventa un ponte tra il mezzo tecnologico e la dimensione concettuale dell’opera. È attraverso la presenza fisica dello spettatore che lo spazio, le immagini e i dispositivi tecnologici entrano in relazione, generando un’esperienza che è insieme corporea e mentale. La tecnologia non sostituisce il corpo, ma lo mette in tensione con lo spazio e lo rende parte attiva del processo percettivo.
Guardando al panorama contemporaneo, come vede l’eredità di queste pratiche nelle nuove generazioni di artisti?
Le nuove generazioni di artisti si trovano davanti a un panorama tecnologico estremamente potente e pervasivo, in cui robotica e IA offrono possibilità enormi ma anche rischi evidenti. Il vero lavoro, per loro, non è semplicemente utilizzare queste tecnologie, ma capire come non esserne inghiottiti, come non lasciarsi divorare dalla loro logica automatica e produttiva. Il compito è quello di resistere alla seduzione dell’efficienza, di rallentare, interrogare, mettere in crisi questi sistemi, piuttosto che limitarsi a usarli.
Ha fiducia?
Sì, ho fiducia nelle nuove generazioni. Le considero l’ultima vera frontiera che ci resta per reagire al presente, perché il loro sguardo ha la capacità di andare oltre le logiche della politica e delle sue semplificazioni. I giovani hanno ancora la possibilità — e forse la responsabilità — di immaginare nuove forme di pensiero, di relazione e di azione.
Come l’ha accolta Palermo?
Ho avuto subito la sensazione di essere arrivato nel posto giusto.
In che modo il contesto di Palermo può entrare in risonanza con la sua ricerca artistica e con i temi che attraversano il suo lavoro?
Palermo è una città stratificata, dove memoria, linguaggi e corpi convivono in uno spazio urbano fortemente simbolico. Mi sento molto connesso a questa città per la sua stratificazione culturale, letteraria e concettuale, una complessità che percepisco affine al mio percorso artistico.