Il catanese Santo Previtera tra i protagonisti della mostra “Liminal Matters” alla “Woodseer St Gallery” di Londra
Il catanese Santo Previtera è uno dei protagonisti (artisti e creatori emergenti) di “Liminal Matters”, una mostra interazionale, policroma, accolta dalla “Woodseer St Gallery” di Londra, dal 14 al 16 novembre, che esplora i mondi “intermedi” presenti nell'arte, nel design e nell'artigianato. Curata da Gillian Mciver, (nota anche come @the_art_traveller), questa mostra offre una riflessione essenziale sulla materialità, la transizione e il rinnovamento, approfondendo temi ricchi e variegati come la storia antica, l'alterità emotiva e sociale, il trauma, la sensualità, il corpo, il mondo naturale e la casa. «Nato negli studi del “Royal College of Art, il collettivo riunisce artisti, designer e artigiani di tutto il mondo che condividono un profondo interesse nell'esplorazione degli spazi liminali che esistono tra materia, tempo e luce», dichiara il pittore Santo Previtera che abbiamo intervistato.
Dagli esordi ad oggi, verso quali ‘mete’ si dirige o vorrebbe si dirigesse la sua arte?
«Parlare di mete nell'arte o meta dell'artista può portare verso la confusione, poiché l'artista vive nel campo delle infinite possibilità che durante il processo creativo si presentano alla sua coscienza. Volendo prefiggersi una meta, potrebbe essere quella di essere aperto e ricettivo alla sua intuizione la cui fonte è assolutamente incontrollabile. Quindi la meta potrebbe essere forse l'umiltà, nel senso del riconoscere i propri limiti».
Potendola definire, ci dice qual è la sua poetica pittorica?
«Penso che abbia sempre avuto a che fare con la luce e come essa abbraccia il mondo dandogli forma e senso, in seguito quella stessa luce mi ha indicato varie direzioni che utilizzo solo per perdermi in modo da sentire una certa necessità che molti hanno cercato di descrivere, ma che in realtà è ineffabile... anche in questo caso le definizioni, per definizione, mettono limiti, aiutano sì a capire, e in qualche modo comprendere, ma al tempo stesso distraggono dall'essenziale. Ovviamente si tratta solo di una mia opinione.
Qual è il “colore” che sposa meglio (o vorrebbe sposasse) la sua interiorità?
«Il colore che ogni artista sposa ha chiaramente a che fare con un suo stato emozionale predominante in un certo periodo del suo percorso. L'inchiostro della pittura orientale nel mio caso ha avuto l'effetto di allontanarmi dal colore che nella pittura dei letterati era completamente assente, dando spazio al puro gesto seppur diretto alla descrizione del soggetto. Quindi posso dire di avere semmai sposato per un momento l'assenza del colore per poterne assaporare meglio il suo ritorno».
Cosa vorrebbe suscitare in coloro che osservano le sue opere?
«Un pittore, un musicista o un poeta lavorano primariamente per sé stessi. Qualcosa che non comprendono ma che chiaramente sentono, li porta ad agire a muoversi, a scrivere per esprimere quel sentire. Questo avviene a prescindere dal fatto che qualcuno fruirà o meno del suo lavoro. Ciò mi porta a pensare che l'artista in realtà non voglia suscitare alcunché ma solo esplorare e trovare qualcosa che lo stupisca. In una scolaresca di scuola primaria che visitava una mostra collettiva a cui partecipavo, alcuni bambini avevano dei fogli e dei colori, quello che fecero spontaneamente fu quello di copiare i dipinti esposti. Cosa ha suscitato in loro quella mostra? Forse il ricordo della loro innata creatività».
Oggigiorno quali sono (o dovrebbero essere): funzione dell’arte e responsabilità dell’artista?
«È una domanda che potrebbe essere posta agli artisti delle pitture e dei graffiti rupestri spesso irraggiungibili se non passando attraverso stretti cunicoli lunghi centinaia di metri. Ma da loro non avremo risposta se non dalle opere che ci hanno lasciato e che sembrano indicare una funzione di tipo rituale legata alla sopravvivenza della comunità. Oggi la funzione dell'arte è senza dubbio da ricercare nella sua capacità di farci rallentare e fermare per un momento a contemplare un fenomeno (l'opera) apparentemente statico ma in grado di muovere e generare degli stati interiori non ancora esplorati e quindi sconosciuti».
Qual è stato ad oggi il più grande insegnamento ricevuto in dono dall'arte?
«I doni e gli insegnamenti dell’arte non sono immediatamente riconoscibili ma prevalentemente riguardano la propria interiorità, uno di questi si potrebbe descrivere come una leggerezza che avviene ad un certo punto del processo creativo, che potremmo chiamare l'inizio della discesa. L'opera assume una sua identità, l'artista la riconosce e la quadratura del cerchio è vicina per così dire. Vivere quel momento insegna l'attesa, la fiducia, e l'umiltà».