Il fatto
Palermo, niente permesso premio al boss coinvolto nelle stragi di Capaci e via D'Amelio
Per gli Ermellini le lettere di Tinnirello dal carcere e i soldi ad una Onlus dimostrano un percorso di revisione superficiale
Il corridoio del carcere è silenzioso, interrotto solo dal rumore metallico delle chiavi. Lorenzo Tinnirello, 65 anni, volto segnato dal tempo e dagli anni di isolamento, attende la decisione che potrebbe concedergli un frammento di libertà: un permesso premio. Ma la risposta del Tribunale di sorveglianza arriva netta, quasi tagliente. “No”. E ora viene confermata anche dalla Cassazione.
Non basta la condotta regolare, non bastano le lettere inviate agli studenti, né la dichiarata dissociazione da Cosa nostra. Per i giudici, il percorso di revisione intrapreso da Tinnirello è ancora troppo superficiale, inadatto a cancellare l’ombra lunga delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, di cui fu protagonista.
Le relazioni intramurarie raccontano un uomo che riflette soprattutto sugli effetti delle proprie scelte sulla sua vita, senza mai soffermarsi davvero sulle conseguenze irreversibili per le vittime. Le lettere, pur animate da un tono apparentemente educativo, sembrano più un tentativo di costruire un’immagine positiva di sé che un autentico atto di riparazione.
Il gesto concreto, un contributo mensile di 30 euro a un’associazione religiosa, appare ai magistrati come una goccia nel mare rispetto alla gravità dei delitti. Troppo poco, troppo distante dal dolore che quelle azioni hanno seminato.
La difesa non si arrende. Gli avvocati Alberta e Ottinà portano il caso in Cassazione, denunciando un approccio “eticizzante” da parte del Tribunale, che avrebbe trasformato il requisito del distacco dalla criminalità in un obbligo morale di pentimento totale. Secondo loro, le attività svolte dal detenuto – dalle testimonianze nelle scuole alla richiesta di percorsi di giustizia riparativa – avrebbero dovuto pesare di più nel giudizio.
Così la vicenda si trasforma in un confronto di visioni. Da un lato, la giustizia che pretende una revisione critica profonda e definitiva, soprattutto per chi ha partecipato agli episodi più sanguinosi della storia mafiosa. Dall’altro, la difesa che denuncia condizioni impossibili da raggiungere, un traguardo che rischia di rendere i benefici penitenziari una promessa vuota.
La parola è passata alla Cassazione. È stato a Roma che il “no” del Tribunale è stato inciso come un sigillo. Nel frattempo, Tinnirello resta dietro le sbarre, con il peso di un passato caratterizzato da sangue e lacrime per i parenti delle vittime.