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L’intervento

A Catania servono piste ciclabili: «Le bici non sono uno svago per benestanti, ma il mezzo di trasporto del popolo»

Nella città la mobilità, anche nell'apposita Commissione consiliare, appare pensata solo guardando all'esigenza delle automobili, che sono un numero record di 800 per ogni mille abitanti, «e non delle persone».

Giuseppe Inturri

09 Novembre 2025, 15:14

15:27

A Catania servono più piste ciclabili: «Le bici non sono uno svago per benestanti, ma il mezzo di trasporto del popolo»

Amate e odiate”. Così sono etichettate le piste ciclabili nell’articolo de La Sicilia del 12 ottobre, che riportava la posizione dei consiglieri comunali contrari alla pista ciclabile di viale Africa. Aggettivi che trasformano un’infrastruttura in soggetto animato, segno di una reazione antropologica alla “novità” della bicicletta, ancora estranea all’ecosistema della mobilità catanese.

La Commissione “Mobilità e Viabilità” ha chiesto la sospensione del cantiere, nonostante l’intervento fosse previsto nel Put 2013, nel Pums 2023 e nel Biciplan 2024, già finanziato dal Mit per collegare stazioni e sedi universitarie. La proposta di spostare la pista sul marciapiede per “non sottrarre spazio alla sede stradale” ignora che il progetto non riduce corsie né capacità di traffico. Sfugge forse lo scopo fondamentale delle piste: ridurre la congestione, con beneficio anche per gli automobilisti.

Definire la pista "non necessaria né urgente" rivela scarsa consapevolezza dei problemi della mobilità catanese e delle sue anomalie. Ogni automobilista catanese perde 100 ore nella congestione, quasi un mese di lavoro. L'inquinamento atmosferico causa 450 morti premature ogni anno, dato aggravato da un tasso record di motorizzazione (oltre 800 auto ogni 1000 abitanti) e da un parco automobilistico tra i più inquinanti. Possedere un’automobile costa non meno di 6.000 euro annui, il 20% di un reddito medio. Decine di pedoni e ciclisti, gli utenti vulnerabili della strada, perdono la vita ogni anno per la guida aggressiva degli automobilisti. Bisognerebbe rivedere la prospettiva: non sono i pedoni vulnerabili, sono gli automobilisti pericolosi.

Viviamo nella distorsione di una città auto-centrica nella quale la mobilità è considerata un’esigenza dei veicoli, non delle persone, e che il linguaggio giornalistico contribuisce a rafforzare. L’automobile viene descritta come soggetto impersonale che "perde il controllo", mentre la vittima viene descritta come la "malcapitata" nel posto sbagliato al momento sbagliato.

La Commissione sembra ignorare questi fenomeni. Dovrebbe occuparsi di mobilità, salute e qualità della vita dei cittadini, ma si oppone all’idea che la carreggiata stradale possa lasciare spazio alla bicicletta, "specie animale" inferiore. Le piste ciclabili sono ritenute "non necessarie né urgenti" perché la bicicletta è vista come svago per benestanti, piuttosto che mezzo di trasporto del popolo, da relegare al più sul marciapiede, insieme ai pedoni, specie ancora più bassa nella catena della mobilità.

In effetti, come ricorda con buona dose di ironia il Ceo di Euro Exim Bank Ltd.: «Un ciclista è un disastro per l’economia del paese: non compra auto e non prende soldi in prestito per comprarne. Non paga polizze assicurative. Non compra carburante, non paga per sottoporre l’auto alla necessaria manutenzione e riparazione. Non utilizza parcheggi a pagamento. Non causa incidenti rilevanti. Non richiede autostrade a più corsie. Non diventa obeso. Persone sane non sono necessarie né utili all’economia. Non comprano medicine. Non vanno negli ospedali né dai medici. Non aggiungono nulla al Pil del paese. […] Camminare è ancora peggio. I pedoni non comprano nemmeno una bicicletta».

In realtà è difficile pensare ad un mezzo di trasporto più sostenibile ed efficiente della bicicletta. È il più veloce negli spostamenti inferiori ai 5 km in città (oltre il 60% della mobilità urbana). Una corsia ciclabile di 1.50 metri garantisce un flusso di persone doppio di quello di una corsia stradale di 3 metri. Lo spazio per la sosta di un’automobile può contenere 10 biciclette. È economica e riduce il senso di disuguaglianza sociale tra cittadini con diverso reddito; favorisce gli incontri e la socializzazione; migliora l’umore; migliora la salute e riduce fino al 20% tutte le cause di mortalità.

In Italia è utilizzata per la mobilità sistematica dal 5% dei cittadini, il 10% in Francia, il 13% in Irlanda, il 15% in Belgio, il 30% in Olanda. Nella nostra città non si raggiunge neanche l’1%. La percezione di insicurezza (per il rischio di incidente e di furto) è la principale barriera al suo utilizzo, soprattutto per la carenza di infrastrutture ciclabili: percorsi utili, diretti, continui e dotati di aree di sosta e di custodia. Nonostante alcuni sforzi prodotti dalle ultime amministrazioni (le corsie riservate e condivise tra bus e biciclette, la pista ciclabile di Ognina e di via Cristoforo Colombo e quelle in corso di realizzazione), è necessario fare un salto di qualità, ad esempio realizzando i 40 km di piste già finanziate e progettate e completando i 20 km finanziati dal Mit per collegare in chiave intermodale le stazioni ferroviarie (Fs e Metro) con le numerose sedi universitarie di Catania.

Chiedere di spostare la pista ciclabile di viale Africa sul marciapiede è l’ultima delle opzioni da prendere in considerazione, quando tutte le altre si fossero dimostrate non fattibili. Le corsie stradali di viale Africa presentano una larghezza ampiamente sovrabbondante rispetto alle norme e rispetto all’esigenza di sfavorire condotte di guida pericolose. Il numero di corsie e la capacità di traffico non sarebbero minimamente compromesse. L’unico effetto potrebbe essere una benefica riduzione della velocità su una strada teatro di gravi incidenti.

Spero che il dibattito pubblico sposti la sua attenzione dalle “imperfezioni” delle piste ciclabili realizzate, all’enorme deficit di offerta di trasporto pubblico (responsabilità del sottofinanziamento della Regione Siciliana), alle gravi carenze dei percorsi pedonali spesso del tutto privi dei marciapiedi (ma spesso risulta difficile criticare ciò che non si vede).

Zone pedonali, piste ciclabili, trasporto pubblico, Ztl, zone 30 km/h, non sono uno strumento per vietare le auto, ma per emanciparci dall’obbligo di usarla.