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la storia delle indagini

Depistaggi e complicità: i misteri sull'omicidio del presidente della Regione

Il ruolo del superpoliziotto Bruno Contrada, Vincenzo Immordino e i precedenti sulle indagini sviate

Manuela Modica

24 Ottobre 2025, 15:59

16:01

La Procura generale: «Contrada nasconde dei documenti»

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Un'accusa di depistaggio dopo 45 anni. Quello che arriva dalla Procura di Palermo, guidata da Maurizio De Lucia, nei confronti di Filippo Piritore è, però, solo l'ultimo tassello. Le indagini dell'omicidio Mattarella già poco dopo erano apparse perlomeno controverse. La corte d'Assise di Palermo, parlò addirittura di “seri dubbi sulla linearità, completezza e tempestività delle indagini".

A seguirle era stato Bruno Contrada che a quel tempo era sia il dirigente del Centro Interprovinciale Criminalpol per la Sicilia occidentale (avente sede a Palermo) sia il dirigente ad interim della Squadra mobile. Contrada aveva anche rapporti con Piritore che andavano oltre il lavoro, come è stato accertato nel processo a carico dell'ex dirigente. Una grande familiarità: Contrada era andato anche al battesimo della figlia di lui come fu accertato, in quel dibattimento. Un processo che ha riconosciuto Contrada responsabile del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa con “condotte provate dal 1979 - ricorda la gip Antonella Consiglio - e, secondo la relativa sentenza, con condotte fino al 1988 e pertanto realizzate anche nel periodo in cui venne commesso l'omicidio Mattarella, epoca in cui dirigeva le indagini sia come capo della Squadra mobile che come capo della Criminalpol (statuizione questa rispetto alla quale la sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo il 14 aprile 2015 ha inciso solo sotto il profilo strettamente giuridico e non anche sulla ricostruzione dei fatti che restano accertati in modo incontrovertibile)”. Il processo a Contrada aveva accertato rapporti tra lui e mafiosi, tra cui “Michele Greco e Salvatore Riina” ricorda la giudice.

Il 6 gennaio del 1980, giorno dell'omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, "sul luogo del delitto si recavano Bruno Contrada, dirigente della squadra Mobile ed il maggiore Santo Rizzo, Comandante del Nucleo Operativo dei Carabinieri, per partecipare, con personale dipendente, alle indagini" e si concludeva che "le indagini vengono condotte anche in piena intesa con il locale Nucleo Criminalpol diretto da Bruno Contrada”.

Piritore dunque - quando acquisisce il guanto che uno dei killer aveva dimenticato nell’auto usata per la fuga - informa Contrada, come racconta ai magistrati palermitani lo stesso Piritore: "Quando venne rinvenuto il guanto e il proprietario della macchina non lo riconobbe come proprio, io ero presente; ritengo che, come da prassi, avvisai subito il dirigente della Mobile, nella persona di Contrada, che evidentemente mi disse di avvisare il dott. Grasso (Piero Grasso, allora pm ndr) e di mandare i reperti alla Scientifica. Preciso, sul punto, di non avere un ricordo nitido degli accadimenti e quindi non escludo di avere potuto informare un altro dirigente”.

Il depistaggio ipotizzato dalla procura guidata da Maurizio De Lucia ha d’altronde dei precedenti. Il più importante riguarda l'allora questore di Palermo, Vincenzo Immordino, che si era reso protagonista di due tentativi di sviamento delle indagini sull'omicidio di Piersanti Mattarella. Fu accertato infatti che «aveva avocato a sé ogni iniziativa relativa alle importanti circostanze che la dottoressa Maria Grazia Trizzino, Capo di Gabinetto del Presidente Mattarella, aveva riferito all'indomani dell'omicidio; in particolare, la Trizzino riferì che il Presidente nell'ottobre 1979 - immediatamente dopo il rientro da Roma, ove ebbe un incontro con il ministro Virginio Rognoni per i problemi siciliani - le aveva confidato: "Se dovesse succedermi qualcosa di molto grave per la mia persona, si ricordi di questo incontro con il ministro Rognoni, perché a questo incontro è da collegare quanto di grave mi potrà accadere”».

«Tali circostanze furono oggetto di una relazione di servizio pervenuta all'Immordino il 28 marzo 1980 ma, come ricostruito nel processo, il Questore impartì la precisa disposizione ai funzionari di polizia giudiziaria di astenersi da qualsivoglia accertamento, di cui si sarebbe occupato personalmente, accertamento che tuttavia non ci fu». E infatti, Trizzino e Rognoni, sull'incontro dell'ottobre 1979, furono sentiti solo nell'aprile 1981.

Non solo, nel processo venne pure accertato che ci furono indicazioni “acquisite dal Centro di contro-spionaggio di Palermo in ordine all'esecuzione di quell'omicidio (Mattarella, ndr) da parte di un giovane killer non siciliano appartenente a un non precisato gruppo terroristico di sinistra, in cambio di denaro e armi, al quale Cosa nostra aveva offerto rifugio e protezione proprio nei giorni del fatto”. Era stato Immordino a dare queste indicazioni, riporta la gip, che le aveva a sua volta apprese direttamente da Vito Ciancimino, definito all'epoca "persona qualificata attendibile". 

La Corte d’Assise di Palermo poi evidenziò “quanto fosse incombente e grave la presenza di Vito Ciancimino in moltissimi aspetti della vita della città di Palermo risulta confermato anche dall'esistenza di alcuni seri dubbi sulla linearità, completezza e tempestività delle indagini proprio sull'omicidio di Piersanti Mattarella".