×

L'inchiesta di Catania

Il commando “protetto” dallo sciamano: «Il rito? Si può fare il sacrificio al cimitero»

Nell’epoca dell’intelligenza artificiale c’è ancora qualcuno che dà conto alle forze protettrici dell’esoterismo

Laura Distefano

04 Ottobre 2025, 19:32

04 Ottobre 2025, 19:33

Il commando “protetto” dallo sciamano: «Il rito? Si può fare il sacrificio al cimitero»

Nell’epoca dell’intelligenza artificiale c’è ancora qualcuno che dà conto alle forze protettrici dell’esoterismo. Stavolta i “creduloni” sarebbero stati i componenti della banda di brutali rapinatori assicurata alla giustizia venerdì all’alba. Il commando “capitanato” dal rampollo dei Laudani, Alberto Caruso - figlio naturale di Tano Laudani, ammazzato nel 1992 dagli “Sciuto”, e fratellastro del collaboratore Giuseppe Laudani - prima di ogni colpo delegavano, naturalmente a pagamento, a Khalipha Casse un rito «propiziatorio». Addirittura in alcune conversazioni si parla di «sacrificio» al cimitero (a distanza). Cioè dal Senegal, Paese d’origine dell’indagato che da anni vive a San Cristoforo. «Anche domani uccidere, sacrificio, di quello (l’animale, ndr)... lui lo fa». Lo sciamano dei rapinatori avrebbe avuto anche il potere di sapere se le potenziali vittime avessero davvero le casseforti colme di soldi.
Qualche mese fa, ad aprile, Alessandro Sapiente - uno degli arrestati - discuteva con Casse di una rapina programmata a Taormina. Ma sul colpo ci sarebbero state difficoltà logistiche e inoltre le informazioni in «suo possesso» risalivano a un anno prima. Troppi dubbi, quindi, avevano portato a trovare nuovi bersagli: uno sarebbe stato un imprenditore ittico dell’acese. Sapiente, anche in questo caso, chiedeva una mano al santone Khalipha. «Si ribadisce che - scrive la gip Carla Aurora Valenti - per quanto paradossale l’affidamento che i sodali riponevano nei rituali di Casse fosse un elemento coalizzante del gruppo». In una conversazione captata il senegalese spiegava anche il rito da seguire: «Tu prima di uscire rimani fermo sul posto e dici questa parola, se avevi un po’ di sabbia o qualcosa e tu fai (soffia) e la butti tu puoi passare davanti a loro non vedono ne Alessandro ne la macchina... puoi andare dove vuoi... Io posso proteggere bene...»

A invocare l’«intervento divinatorio» di Casse sarebbe stato anche Alberto Caruso in persona, già condannato nel processo Vicerè per mafia. Il “capo” avrebbe avuto, a un certo punto, dei problemi con la banda poiché avrebbe deciso di spostare un colpo dopo un viaggio. Questo ritardo non sarebbe piaciuto ai complici, in quanto avrebbero potuto mettere a rischio il bottino. Domani, nel carcere di Piazza Lanza, sono programmati gli interrogatori di garanzia dei sei indagati finiti dietro le sbarre.