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IL CASO GARLASCO

L’analisi tecnica: come si esamina il DNA sotto le unghie e quali sono i rischi di contaminazione

Dentro i laboratori dove il passato si riapre: cosa si può davvero dire – e cosa no – quando il DNA arriva da pochi granelli sotto un’unghia

Alfredo Zermo

09 Dicembre 2025, 22:15

L’analisi tecnica: come si esamina il DNA sotto le unghie e quali sono i rischi di contaminazione

Una stanza senza finestre, aria filtrata, camici chiusi fino al collo. Il silenzio è rotto solo dal clic di una pipetta. Su un vetrino, un frammento di unghia racchiude un enigma: poche cellule, tracce invisibili a occhio nudo. È qui che si misura il confine fra ciò che la scienza può affermare e ciò che, con onestà, deve ammettere di non poter stabilire. In questi giorni quel confine è tornato al centro del caso di Garlasco: il DNA ricavato dai margini ungueali di Chiara Poggi è al cuore dell’udienza del 18 dicembre 2025, fissata per “cristallizzare” le risultanze dell’incidente probatorio. La perizia della genetista Denise Albani è stata depositata; la nuova analisi delle macchie di sangue dei RIS di Cagliari è agli atti da settimane; la perizia del medico legale Cristina Cattaneo è attesa a breve. Sono tasselli importanti, ma non risolvono da soli il rompicapo centrale: cosa davvero significa trovare DNA sotto (o sopra) un’unghia, e quanto pesano i rischi di contaminazione?

L’aggiornamento giudiziario in breve

  1. Il 18 dicembre 2025 è in calendario l’udienza davanti alla gip Daniela Garlaschelli per fissare le conclusioni tecniche dell’incidente probatorio.
  2. La perizia sul DNA delle unghie a firma di Denise Albani è stata depositata a inizio dicembre: nel documento si evidenzia che, allo stato dell’arte, non è possibile stabilire con rigore se le tracce fossero “sotto” o “sopra” le unghie, né definire modalità e tempi di deposizione.
  3. I RIS di Cagliari hanno depositato la nuova BPA (Bloodstain Pattern Analysis) a metà settembre 2025: secondo quanto trapelato, l’analisi esclude indizi di un “secondo omicida”, pur ribadendo la centralità della ricostruzione sulla scala e un singolo aggressore.
  4. La perizia medico-legale di Cristina Cattaneo sull’insieme delle lesioni e i riscontri antropometrici è attesa; a ottobre 2025 l’indagato Andrea Sempio è stato sottoposto a misurazioni per i confronti tecnici.

Da qui la nostra nuova angolazione: entrare nelle procedure, nei limiti e nelle trappole dell’analisi del DNA da unghie, per capire quanto un risultato “compatibile” sia davvero dirimente – e quando, invece, occorre prudenza.

Come si raccoglie il DNA da unghie: taglio, raschiamento, tamponi

Le unghie sono “trappole” naturali: durante una colluttazione possono intrappolare cellule epiteliali, sudore, residui biologici. La raccolta segue protocolli con dispositivi sterili e catena di custodia rigorosa:

  1. Clip dei margini ungueali in buste separate per mano;
  2. Raschiamento delicato del bordo libero per recuperare materiale intrappolato;
  3. In alternativa, tamponi leggermente inumiditi passati sotto i margini.Ogni mano viaggia in confezioni distinte, l’operatore cambia guanti e DPI fra un prelievo e l’altro per minimizzare il rischio di trasferimenti involontari. Linee guida operative – usate nei kit clinico-forensi – insistono su separazione, etichettatura puntuale e asciugatura dei tamponi senza ventilazione forzata, proprio per ridurre la possibilità di contaminazione crociata.

Nei laboratori, i campioni entrano in aree “pre-PCR” definite “clean” per evitare aerosol di ampliconi; l’estrazione segue procedure validate e controlli ambientali e di reagente per individuare eventuali contaminanti. I consumabili a contatto con il campione devono essere conformi allo standard ISO 18385 (“forensic DNA grade”), che impone requisiti per ridurre il rischio di DNA umano residuo nei materiali usati per la raccolta e l’analisi.

Dal frammento al profilo: estrazione, quantificazione, amplificazione

Una volta in laboratorio, il materiale ungueale è trattato come matrice “difficile”: spesso contiene poco DNA, mischiato a quello della vittima e potenzialmente degradato. Le fasi tipiche: eEstrazione e pulizia per rimuovere inibitori; qQuantificazione con qPCR per stimare il carico di template (totale, maschile, eventualmente cromosoma Y); amplificazione di STR autosomici e, se indicato, Y-STR; aAnalisi elettroforetica e interpretazione dei profili, con attenzione ai fenomeni stocastici dei campioni a basso tenore di DNA: drop-out, drop-in, alleli sbilanciati.

Le linee guida SWGDAM distinguono i casi “low template/low copy”, raccomandando cautele aggiuntive – come test in replicato, soglie stocastiche, controlli negativi – e l’uso, ove necessario, di marcatori di linea (Y-STR) e di strumenti di interpretazione probabilistica con Likelihood Ratio.

Che cosa può dire il cromosoma Y – e che cosa non potrà mai dire

Quando il DNA è poco o misto, ricorrere agli Y-STR è prassi ragionata: si “sente” meglio il segnale maschile in un fondo femminile. Ma la lettura va compresa: un profilo Y non identifica un individuo, bensì una linea paterna. In pratica, tutti i maschi imparentati in linea padre-figlio condividono lo stesso aplotipo (salve rare mutazioni). Perciò, anche una “piena concordanza” con un aplotipo noto è al più un forte indizio di appartenenza familiare maschile, non una prova d’identità personale. Le stesse linee guida SWGDAM per i test Y-STR e i documenti su come riportare i Likelihood Ratio invitano a esprimere il peso dell’evidenza in termini probabilistici, evitando conclusioni oltre ciò che i dati consentono.

Nel caso Garlasco, le sintesi giornalistiche convergono su un punto: la perizia Albani segnala una compatibilità dell’aplotipo Y recuperato nel 2007 da due margini ungueali con la linea paterna dell’indagato Andrea Sempio; ma, al contempo, sottolinea l’impossibilità – “allo stato delle conoscenze” – di stabilire dove fosse il DNA (sotto o sopra), come e quando sia arrivato lì, e se si tratti di contatto diretto o trasferimento secondario. È la chiave interpretativa: compatibilità di linea sì, identificazione individuale e dinamica di deposizione no.

Sotto o sopra l’unghia?

L’idea intuitiva è che “sotto” l’unghia significhi graffio e contatto violento con l’aggressore, mentre “sopra” possa suggerire un trasferimento casuale. In realtà, i confini sono porosi: il microambiente dell’unghia favorisce sia l’intrappolamento di cellule durante un contatto energico sia l’adesione per contatto indiretto (es. un oggetto manipolato da due persone in tempi ravvicinati). Studi sulla persistenza del DNA sotto le unghie mostrano che profili “estranei” si trovano anche in soggetti senza colluttazioni recenti; dopo un graffio deliberato, la presenza del DNA dell’altro diminuisce sensibilmente già dopo poche ore. Questo dato invita a grande cautela nel trasformare la posizione del DNA in una deduzione lineare sulla dinamica.

BPA, scena e contesto: l’altra metà del quadro

L’analisi delle macchie di sangue (BPA) non parla di identità biologica, ma di dinamica: traiettorie, direzioni, numero di colpi, posizione di vittima e aggressore. Nel fascicolo Garlasco, la consulenza dei RIS di Cagliari depositata il 16 settembre 2025 ha evidenziato l’assenza di elementi che indichino un secondo partecipante, consolidando l’ipotesi di un singolo aggressore. È un tassello che non risponde alla domanda “chi”, ma inquadra il “come”, e deve dialogare – senza forzature – con i risultati genetici.

Le trappole del “touch DNA”: sensibilità alta, certezze basse

Più i metodi diventano sensibili, più aumentano i rischi di recuperare DNA non pertinente. Il touch DNA – cellule lasciate dal semplice contatto – dipende da durata, pressione, tipo di superficie e dal fatto che una persona sia un “shedder” più o meno efficiente. Ciò spiega perché campioni a bassissima quantità generino profili parziali, misti e vulnerabili a fenomeni stocastici: la comparsa di un allele “estraneo” (drop-in) o la scomparsa di un allele atteso (drop-out) cambiano drasticamente l’interpretazione. Le linee guida SWGDAM sui metodi “enhanced” raccomandano replicati e soglie di riportabilità calibrate, proprio per evitare overclaiming su risultati marginali.

“Compatibile con la linea paterna”: come si comunica il peso dell’evidenza

Un risultato espresso come “compatibile con l’aplotipo Y” richiede una traduzione statistica: quante volte è atteso quell’aplotipo nella popolazione di riferimento? Il modo corretto di comunicarlo è un Likelihood Ratio (LR): quanto sono più probabili i dati se il DNA viene dalla linea paterna di Tizio rispetto a un maschio casuale della popolazione? Le Linee guida SWGDAM indicano criteri per riportare gli LR in modo trasparente e riproducibile. È un linguaggio tecnico, ma serve a non trasformare una compatibilità in una identificazione.

Il nodo specifico emerso dalla perizia Albani

Nel materiale depositato a dicembre 2025, la genetista Denise Albani afferma che, sulla base delle conoscenze internazionali, non esistono metodi validati per rispondere con rigore scientifico alle domande “come, quando e perché” un determinato DNA sia stato depositato su una superficie come l’unghia, né per dire se una traccia fosse realmente “sotto” o “sopra” e da quale dito provenga. In altre parole: il dato genetico – per quanto potenzialmente informativo sull’aplotipo Y – non basta da solo a ricostruire la dinamica temporale e meccanica del contatto. È un punto che pesa molto nella valutazione dell’insieme.

Perché serve un mosaico: integrare genetica, BPA e medicina legale

La genetica forense dirà quanto è sostenibile l’ipotesi che quelle poche cellule appartengano a una certa linea maschile. La BPA proverà a collocare tempi e posizioni dell’aggressione, escludendo o meno il concorso. La medicina legale valuterà compatibilità fra lesioni, tempi, forze in gioco e – come nel caso in esame – i riscontri antropometrici. Solo l’incastro coerente di questi piani, e non l’enfasi su un singolo reperto “esile”, può ambire a reggere in un’aula di giustizia. Le notizie fin qui disponibili dicono che la BPA dei RIS di Cagliari porta verso un solo aggressore; che la traccia sotto esame è “di linea” e che l’attribuzione individuale resta problematica; e che il tassello medico-legale di Cristina Cattaneo deve ancora entrare a sistema.

E adesso?

L’udienza del 18 dicembre servirà a fissare – con le forme stringenti dell’incidente probatorio – ciò che le scienze forensi possono sostenere senza oltrepassare la soglia del “più di quanto i dati dicano”. Il quadro, ad oggi, è questo:

  1. L’aplotipo Y recuperato dai margini ungueali nel 2007 appare compatibile con una specifica linea paterna;
  2. Non è possibile dire dove, come e quando quelle cellule siano arrivate sull’unghia;
  3. La BPA più recente indirizza verso un solo aggressore;
  4. La perizia medico-legale – e i riscontri antropometrici – è attesa per completare la triangolazione fra biologia, dinamica e lesioni.

È una partita di metodo prima ancora che di merito. La forza dell’evidenza non sta nel clamore di una parola (“compatibile”) ma nell’insieme delle procedure, dei controlli e del linguaggio probabilistico con cui la si racconta. Se la scienza forense ha fatto un salto di qualità, è anche perché ha imparato a dire “non lo sappiamo con rigore” quando serve. In un caso che da 18 anni interroga il Paese, è un atto di serietà non meno importante di una scoperta in più.